Dunque, il Consiglio dei Ministri ha approvato il “#Decreto Salvini su sicurezza e immigrazione” (così è stato battezzato nella foto che ritrae il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno dopo la conferenza stampa di presentazione). Sebbene sui contenuti definitivi del testo non vi sia ancora alcuna certezza, la bozza diffusa ieri dall’Ansa, offre la possibilità di fare alcune considerazioni iniziali. La bozza diffusa ieri contiene sia l’articolato che la relazione illustrativa del Decreto: l’insieme permette di cogliere a pieno gli obiettivi e le ricadute che il provvedimento avrebbe sulle singole persone, qualora fosse pubblicato così com’è, cosa che ci auguriamo il Quirinale non consenta.
Sui principali contenuti del testo si sono già espressi diversi commentatori e molte associazioni (per una descrizione dettagliata consigliamo la lettura dell’articolo di Annalisa Camilli qui). Qui il testo, tra i molti altri, del comunicato diffuso dall’Arci.
In sintesi (per ciò che attiene ai temi di cui qui ci occupiamo): cancellazione della protezione umanitaria; previsione di permessi “speciali” per cure mediche, per calamità naturali e per atti di particolare valore civile; estensione del periodo di trattenimento nei CPR; possibilità di trattenimento dei migranti in strutture diverse dai centri di accoglienza deputati (Cas); indebolimento del sistema di accoglienza ordinario Sprar (che potrà ospitare solo rifugiati e minori stranieri non accompagnati) e elezione del sistema di accoglienza governativo gestito dalle Prefetture a unico sistema “deputato” a ospitare i richiedenti asilo; estensione dell’applicazione del Daspo urbano alle aree in cui si trovino anche fiere, mercati e ospedali e aggravamento delle sanzioni previste in materia di blocco della libera circolazione. Qui abbiamo già espresso alcune perplessità di fondo prima che il testo fosse approvato in Consiglio dei Ministri.
Oggi ci soffermiamo su alcuni punti specifici, lasciando a chi di competenza l’analisi e il commento giuridico dell’insieme delle norme proposte.
“Necessità e urgenza”
La relazione illustrativa specifica che “Il presente intervento normativo si rende necessario ed urgente nell’ambito di una complessa azione riorganizzativa, concernente il sistema di riconoscimento della protezione internazionale e le forme di tutela complementare, finalizzata in ultima istanza a una più efficiente ed efficace gestione del fenomeno migratorio nonché ad introdurre misure di contrasto al possibile ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale.”
Ora. Lo stesso Ministero dell’Interno si è premurato di ribadire in più occasioni che nel 2018 il numero di persone approdate sulle nostre coste è diminuito in modo significativo: ad oggi (25 settembre 2018), dall’inizio dell’anno sono arrivate via mare in Italia 21.024 persone rispetto alle 103.355 del 2017 e alle 131.863 del 2016 nello stesso periodo di riferimento. Nessuna “necessità e urgenza” sono dunque desumibili dall’attuale andamento dei flussi migratori provenienti dal Sud del Mediterraneo. Di conseguenza il “ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale”, è già ampiamente ridotto proprio grazie al blocco di fatto dei flussi migratori (in verità già a partire dalla Legislatura precedente). Anche considerando che il problema sussista, bisognerebbe intervenire sulle cause che lo generano. E tra le cause principali vi è il sostanziale azzeramento dei flussi di ingresso per motivi di lavoro a partire dal 2008, pur essendo questo previsto dalla Legge. Non riaprirli accontenta forse chi ha tutto l’interesse a sfruttare il più possibile il lavoro straniero? Il dubbio ci sembra più che legittimo.
La favola del trattenimento nei CPR (ex Cie, ex Cpta)
La relazione illustrativa al decreto specifica che: “Al contempo, l’intervento normativo prevede misure necessarie ed urgenti per assicurare l’effettività dei provvedimenti di rimpatrio di coloro che non hanno titolo a soggiornare nel territorio nazionale, con nuove disposizioni in materia di trattenimento. Tra le misure rivolte a tal fine, è prevista la possibilità di procedere per l’esecuzione dei lavori di costruzione o ristrutturazione dei Centri per i rimpatri attraverso procedure negoziate, per lavori di importo inferiore alle soglie comunitarie in un arco temporale di tre anni.”
L’art. 2 del Decreto (sempre sulla base del testo diffuso dall’Ansa) prolunga il periodo massimo di trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio) dagli attuali 90 a 180 giorni. Nella relazione illustrativa si afferma che “La norma è necessaria in quanto le procedure finalizzate all’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio dello straniero richiedono mediamente cinque mesi per il loro completamento.”
Strano. I molteplici rapporti pubblicati dalla società civile sul trattenimento nei Cie, redatti sulla base di visite effettuate nei centri, (si veda una ricognizione qui) sostengono che normalmente se la procedura di identificazione delle persone “trattenute” non si compie entro i primi due mesi, difficile che si compia dopo. E’ proprio in base a tale considerazione che, ad esempio, su proposta dell’allora Presidente della Commissione straordinaria dei diritti umani del Senato Manconi (che al monitoraggio del pessimo sistema degli allora Cie ha dedicato ben tre rapporti) e del Sen. Lo Giudice, nel 2014 (Legge europea 2013 bis, 30/10/2014 n° 161, G.U. 10/11/2014, art. 3 c.1), il periodo di trattenimento fu ridotto dagli allora 18 mesi (voluti nel 2011 dall’ex Ministro Maroni) agli attuali 90 giorni.
I numerosi rapporti disponibili hanno inoltre evidenziato l’inefficienza del sistema ai fini della garanzia delle operazioni di rimpatrio: secondo gli ultimi dati disponibili (Dossier IDOS, 2017), la quota di persone detenuti nei centri effettivamente rimpatriata è stata ad esempio nel 2016 pari al 48,3%, meno della metà del totale. Considerando la serie storica 1999 -2013 la tendenza non è diversa ma peggiore, pari al 46,2% (si veda qui). Tornare a prolungare la detenzione in questi luoghi, non assicurerà l’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento e l’aumento degli stanziamenti previsti per ampliare il sistema sarà dunque un’inutile ulteriore dispendio di risorse pubbliche che potrebbero essere meglio impiegate proprio in quei progetti di inclusione che il Decreto sembra voler ridurre ad attività residuali.
Ma c’è un di più, e questo è veramente un paradosso se si pensa alla propaganda che è stata fatta in questi mesi sul “malaffare” che ruoterebbe intorno alla gestione dell’immigrazione. Sia chiaro, la cattiva accoglienza e la cattiva gestione in questi anni ci sono state, ma le norme contenute nel Decreto, al contrario di quanto viene proclamato, fanno tutto fuorché favorirne la scomparsa.
Innanzitutto proprio in relazione ai CPR, la relazione esplicita la portata dell’art.2 c.2 del Decreto laddove fa riferimento a la possibilità di procedere per l’esecuzione dei lavori di costruzione o ristrutturazione dei Centri per i rimpatri attraverso procedure negoziate, per lavori di importo inferiore alle soglie comunitarie in un arco temporale di tre anni.” Per chi ha memoria, una delle prassi che ad esempio ha favorito la degenerazione della gestione del sistema di accoglienza romano, messo a fuoco dall’inchiesta su Mafia capitale, è proprio quella della negoziazione diretta tra le autorità appaltanti e soggetti terzi chiamati a ricoprire il ruolo di enti gestori. In sostanza, con buona pace degli annunci strumentali contro il “malaffare”, si rilegittima la prassi di rinunciare a gare pubbliche di appalto, in questo caso per l’affidamento dei lavori di costruzione o ristrutturazione dei CPR.
Nella stessa direzione va la norma tesa a smantellare di fatto lo Sprar a vantaggio del sistema dei centri governativi gestiti dalle Prefetture (Cas, Hub, Cara), ovvero della parte più malata del sistema di accoglienza (Mineo e, di nuovo, Mafia capitale non hanno proprio insegnato nulla).
Cittadinanza: Oltre al danno, la beffa
Non è bastato affossare nella scorsa legislatura (complice la maggioranza di Governo) la proposta di riforma della legge n. 91/92 sulla cittadinanza. No, chi vince vuole stravincere (del resto la propaganda elettorale non finirà almeno sino a maggio prossimo). Sarebbero in corso di trattazione presso il Ministero dell’Interno “circa 300mila richieste di cittadinanza”. E allora che si fa? Non si potenzia il personale dedicato per accelerare l’espletamento delle relative pratiche, come sarebbe ragionevole aspettarsi. No, si prolunga il tempo massimo di risposta a 48 mesi. Perché? “Un’istruttoria così delicata e articolata richiede la massima accuratezza anche in ragione dell’accresciuta minaccia terroristica internazionale e dei preoccupanti fenomeni di contraffazione dei documenti dei Paesi d’origine prodotti dai richiedenti.”
L’argomentazione sollevata è semplicemente meschina ed è sempre la stessa, quella che la Lega Nord ha agitato in Parlamento nella scorsa legislatura. Si mescolano capre e cavoli sovrapponendo fenomeni che niente hanno a che vedere l’uno con l’altro: il rischio di terrorismo internazionale con i diritti di cittadinanza di persone che o sono nate e/o cresciute qui o, se sono adulte, come minimo risiedono in Italia da 10 anni.
Non solo. Il Decreto “introduce l’istituto della revoca della cittadinanza italiana concessa ai cittadini stranieri che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale, avendo riportato condanne per gravi reati commessi con finalità di terrorismo o eversione.” Una volta introdotto il principio secondo cui la cittadinanza può essere revocata, chi ci garantisce che in futuro le “motivazioni” di revoca non possano estendersi, ad esempio, a quelle di ordine politico?
Sbaglia dunque chi pensa che il decreto colpisca “solo” le persone straniere che arrivano o vivono nel nostro Paese. Tra l’altro l’art.25 del Decreto trasforma in reato i blocchi stradali, promossi, ad esempio, da un gruppo di lavoratori a cui sia stato annunciato un licenziamento. La sanzione amministrativa prevista oggi diventa una sanzione penale (da uno a sei anni di reclusione).
Ci fermiamo qui, anche se molto altro potrebbe essere scritto, con l’auspicio che sia il Presidente della Repubblica che il Parlamento facciano tutto il possibile per cambiare un testo che non è necessario né urgente, ma molto pericoloso.
Grazia Naletto