
Il Pacchetto sicurezza Maroni del biennio 2008-2009, i “Decreti Minniti-Orlando” del 2017, i “Decreti Salvini” del biennio 2018-2019: un’ossessione sicuritaria senza soluzione di continuità.
Oggi, nel 2024, un nuovo Disegno di Legge porta avanti questa tradizione: il 18 settembre è stato approvato alla Camera (AC. 1660). Attualmente in discussione in Senato (AS.1236), si prevede una prossima approvazione. Un disegno di legge che continua a far discutere per l’introduzione di tredici nuovi reati che colpiscono – in maniera analoga a quelli che lo hanno preceduto – specifiche fasce di persone: le persone migranti, le persone senza fissa dimora, le donne, attivisti e attiviste. Nella mutata fase politica, un decreto di questo tipo si inserisce in una precisa logica punitiva, descritta da molti come panpenalismo che segue decreti come il DL n. 123/2023 (detto DL Caivano). Ma cosa prevede esattamente questo disegno di legge?
Punire l’indigenza, la povertà e la comunità Rom
Un primo punto degno di nota: questo DDL vuole punire determinate persone che si trovano in condizioni di estrema fragilità economica. L’articolo 10 del DDL 1236 introduce l’art. 634-bis nel codice penale: chi occupa arbitrariamente un immobile destinato ad altri rischia una pena da due a sette anni di reclusione. Lo stesso articolo consente alla polizia di avviare una procedura d’urgenza per liberare l’immobile occupato (art. 321-bis del codice penale) e restituirlo al proprietario.
Ma le forme di indigenza vengono punite anche con il rafforzamento nel cosiddetto reato di accattonaggio: con l’art. 16, chi impiega i minori nell’accattonaggio rischia di incorrere in una pena che va da due a cinque anni di reclusione. Se questa norma sembra tutelare i minori, in realtà l’articolo precedente, il 15, smentisce questo pensiero: per le donne incinte e le madri con prole minore di un anno, il rinvio alla pena non è più obbligatorio, ma facoltativo; si dovrà valutare di volta in volta se procedere con la reclusione in base alla “pericolosità” della donna.
Queste norme sono dei dispositivi pensati per punire in particolare una specifica categoria di persone ovvero la comunità Rom, già stigmatizzata e criminalizzata nella retorica e nella propaganda e ora, ancor di più, attraverso il codice penale.
Punire il diritto alla protesta
Il diritto di protesta, tutelato dall’art. 21 della Costituzione, è messo a rischio dal DDL 1236. Tra i nuovi reati troviamo:
- Blocco stradale e ferroviario (art. 14): fino a due anni di reclusione se perpetrato da più persone.
- Danneggiamento durante manifestazioni (art. 12): fino a cinque anni di reclusione e una multa di 15.000 euro.
- Deturpamento di beni pubblici o privati (art. 24): fino a un anno e sei mesi di reclusione e una multa di 3.000 euro.
Inoltre, le pene sono aumentate di un terzo per la resistenza a pubblico ufficiale e per violenze o minacce a pubblici ufficiali finalizzate «impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica» (art. 19).
Queste norme vanno a criminalizzare specifici movimenti che si oppongono alla costruzione di grandi opere, come quello NO TAV. Ma nel mirino di questo articolo ci sono anche i movimenti ambientalisti, spesso animato da moltissimi giovani che tra blocchi stradali e imbrattamento (con vernice lavabile) di palazzi e opere cercano di portare attenzione sulla crisi climatica.
Punire il dissenso. Anche in carcere e nei CPR
Gli spazi in cui vivono le proteste non sono solo le piazze o le strade, anche nei luoghi di detenzione spesso si manifestano varie forme di dissenso. Anche queste con il DDL 1236 vengono punite. In caso di rivolta negli istituti penitenziari (art. 26) è possibile incorrere ad una pena fino a cinque anni di reclusione, otto in caso le persone imputate figurino tra chi ha organizzato o promosso la rivolta, quindici se la rivolta figura tra le cause di un decesso, anche accidentale. In maniera analoga viene punita la rivolta all’interno delle strutture di trattenimento per persone migranti, come i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (art. 27). In questo caso si rischiano fino a quattro anni di reclusione, cinque per chi organizza o promuove la sommossa, quindici qualora nelle circostanze della rivolta e nei giorni subito successivi dovesse esserci un decesso, fino a vent’anni se nella rivolta causa del decesso sono state usate delle armi.
Questa stretta sul diritto di protesta nelle strutture detentive, tuttavia, coinvolge non solo le rivolte violente, ma anche quelle caratterizzate dalla semplice resistenza passiva: proprio questo punto sembra avere dei profili di incostituzionalità violando l’art. 21 della Costituzione che stabilisce il diritto a manifestare il proprio pensiero. Un diritto che deve essere garantito anche quando questo è un pensiero in dissenso con lo stato delle cose. Si noti, inoltre, come questi due articoli si inseriscono in un contesto in cui si intensificano le rivolte sia all’interno delle carceri – in perenne sovraffollamento – che all’interno dei CPR.
Non semplicemente le SIM, il DDL 1236 ha un orizzonte razzista e repressivo
E’ importante evidenziare l’impianto razzista e razzializzante dietro questo disegno di legge, in un’analisi d’insieme degli articoli qui citati. Questo, non si manifesta solo per l’inumana disposizione che prevede che le persone migranti possano sottoscrivere un contratto con un operatore telefonico solo se in possesso di permesso di soggiorno (art.32) – impedendo de facto a tutte le persone appena arrivate e ancora prive di un titolo di soggiorno di entrare in contatto con i propri cari, avvertendoli del loro arrivo in Europa, o per chiedere aiuto a chi è già stabilmente residente nei paesi europei -. Il razzismo che fa da impianto teorico di questo insieme di norme è purtroppo visibile nel suo tentativo di confermare determinati immaginari attraverso la creazione di reati ad hoc disegnati, ad esempio, sullo stereotipo delle persone Rom, affiancandosi ad una narrazione che le dipinge come le persone che occupano abusivamente casa, che sfruttano i minori nell’atto di fare l’elemosina, che sfruttano la gravidanza per non andare in carcere. In più si aggrava la condizione di esclusione delle persone migranti: la popolazione detenuta in carcere è composta in larga parte da persone di origine straniera così come la popolazione che vive nelle occupazioni abitative; luoghi che vivono le conseguenze di un sistema razzista e che si alimenta sul divario crescente fra persone ricche e persone sempre più povere, spingendo ai margini le persone di origine straniera. Ora chi vive in quei “margini” si rischia la detenzione. E se si vuole denunciare le cause che stanno dietro a quella marginalità? Se si vuole manifestare, anche in maniera pacifica, una qualche forma di dissenso contro le varie storture sistemiche di questa società? Anche lì, si rischia la reclusione, scoraggiando non solo le forme di attivismo giovanile, ma anche quelle forme di ribellione che ci permettono – seppur per un periodo breve – di conoscere cosa accade in spazi e a persone che non vivono sotto i riflettori dei media mainstream, come coloro che sono in stato di detenzione nelle carceri o nei CPR.
Una piazza Nazionale contro il “Decreto Paura”
Per questo e per tanti altri motivi più di duecento realtà tra sindacati, centri sociali, collettivi studenteschi e associazioni e reti, tra cui Lunaria APS e Sbilanciamoci!, il 14 Dicembre saranno in piazza a Roma con un corteo che partirà alle 14.00 da Piazzale del Verano. E’ necessario manifestare contro un Decreto che oltre a criminalizzare ogni forma di precise forme di dissenso, vuole indurre le persone in uno stato di paura. Paura di chi è considerato “diverso”, paura della povertà, paura di dire no ad una forma di sicurezza che allude unicamente alla repressione.