09-02-2022, Roma(RM) - Lazio
La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 4534/22, stabilisce che può essere imputato di un reato di “istigazione all’odio razziale” non solo chi scrive un post sui social incitando alla discriminazione o alla violenza razzista, ma anche chi contribuisce a diffondere messaggi razzisti, attraverso “like” e condivisioni virali. Nel caso esaminato dalla Corte, un utente aveva messo dei “like” su “messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio” su Facebook, VKontacte, e WhatsApp. La Corte, in accordo con le conclusioni raggiunte dal Tribunale del riesame di Roma, ritiene di poter prendere in considerazione come prova di appartenenza a una comunità virtuale anche le interazioni online, ovvero i “like”. La Corte considera in primis già il fatto di “seguire” una comunità virtuale che propaganda online tali contenuti come un grave indizio per integrare le condotte di propaganda e di “incitamento all’odio”. Inoltre, mettere il “like” non solo dimostra, integrato con altre prove, la precisa volontà di aderire a un gruppo virtuale nazifascista, ma al tempo stesso, funge da cassa di risonanza e di amplificazione alla diffusione di un messaggio, a causa del funzionamento stesso dell’algoritmo di Facebook.
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