01-07-2015, Alassio(SV) - Liguria
Il Sindaco emana l'ordinanza urgente n. 214/2015, avente ad oggetto "tutela sanitaria per divieto a persone prive di fissa dimora provenienti da altri paesi privi di regolare certificato sanitario". Il sindaco la emana "in considerazione dell'aumento esponenziale della presenza sul territorio comunale di cittadini provenienti da diversi stati africani, asiatici e sudamericani e del fatto che in detti paesi sono ancora presenti numerose malattie contagiose ed infettive (quali T.B.C., scabbia, H.I.V., Ebola)": fa dunque divieto alle persone senza fissa dimora provenienti da dette aree geografiche, di insediarsi anche occasionalmente nel territorio comunale, se non in possesso di regolare certificato sanitario attestante la negatività da malattie infettive e trasmissibili. Nei mesi successivi all'emanazione del documento, alcune associazioni a tutela dei migranti (Asgi, Arci Liguria, Associazione Avvocato di Strada) presentano un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria. La corte si pronuncia nell'aprile 2016, dichiarando l'illegittimità da parte delle associazioni a presentare ricorso su tale ordinanza, nonché dichiarandosi non competente a trattare la materia in oggetto. Successivamente, Cgil, Arci, Medici Senza Frontiere, Amnesty International, Terre des Hommes, Avvocato di Strada, Comunità di San Benedetto e Campagna LasciateCIEntrare, Asgi e Simm, comunicano di aver presentato un esposto all'UNAR per segnalare il contenuto dell'ordinanza anti-immigrati. Il 22 dicembre 2016, il Gip del Tribunale di Savona, notifica al sindaco di Alassio un decreto di condanna e una sanzione di 3.750 euro per "discriminazione razziale". Il primo cittadino impugna la sentenza, rivendicando che la sua ordinanza non avrebbe fondamenti razzisti. Il 26 agosto 2020, la Corte d’Appello di Genova conferma il giudizio del tribunale e sottolinea il fine discriminatorio delle ordinanze, oltre al carattere profondamente illogico delle stesse. Nel marzo 2021, è la Corte di Cassazione (sentenza 17 marzo 2021 n. 10335) a condannare definitivamente l’operato del sindaco. Secondo la Suprema Corte, non ci sono dubbi sulla portata razzista dell’ordinanza. “Un reato per il quale - ribadiscono i giudici di legittimità - non basta neppure un generico sentimento di antipatia o rifiuto, ci vuole di più: un sentimento idoneo a determinare un concreto pericolo di comportamenti discriminatori. La discriminazione per motivi razziali è fondata sulla qualità personale del soggetto e non sui suoi comportamenti. Per la Suprema corte questo è il caso dell’ordinanza “incriminata”. Era inesistente un pericolo per la salute pubblica che fosse comunque collegabile a soggetti di un’etnia diversa da quella italiana. In assenza di un rischio sanitario la discriminazione è legata all’individuazione dei soggetti destinatari dell’obbligo: solo africani e latino americani. Persone che, anche volendo, non avrebbero potuto, tra l’altro, avere la certificazione richiesta”. Tanto basta per affermare che «si è realizzata una forma di discriminazione, attraverso un atto amministrativo, su pura base razziale, senza spiegare nè indicare la ragione per la quale i soli soggetti aventi quell’etnia dovessero essere “pericolosi” per la salute pubblica e si è richiesta per il superamento una prova irrealizzabile per la ragione indicata, non potendo la Asl rilasciare certificati aventi quel contenuto». La Suprema corte afferma anche l’esistenza del dolo specifico, per il quale basta il fine che chi agisce si prefigge a prescindere dal fatto che poi lo raggiunga o meno.
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