
Da Ponte Mammolo all’Olimpico, passando per Villa Gordiani e San Lorenzo, a Roma sono comparsi dei manifesti che rappresentano i vari bersagli del DL Sicurezza recentemente approvato. In questi è rappresentato un collettivo di giovani durante un blocco stradale; un uomo nero, una donna presumibilmente rom e un giovane con i dreadlocks – non rasta – sgomberati da un’abitazione; un’altra donna rom in metro. In ogni immagine sono presenti le forze dell’ordine, intente ad applicare i dettami del nuovo decreto recentemente convertito in legge. La campagna promossa dalla Lega sulla città di Roma ha lo scopo di rivendicare politicamente i “successi” annunciati del nuovo DL Sicurezza, veicolando immagini ben precise con il supporto dell’intelligenza artificiale.
Collateralmente sempre nella capitale, in particolare nel quartiere esquilino, sono comparsi altri manifesti affissi da Casapound che cercano di diffondere e normalizzare lo slogan delle destre più estremiste europee della REmigrazione, invitando le persone a firmare la loro petizione online.
E, ancora, l’associazione Pro Vita attraversa le strade con manifesti contro la legge sul Fine Vita attualmente discussa in parlamento.
Questi sono alcuni esempi che hanno i loro analoghi in tantissime altre città italiane, ma che ci aiutano a riflettere ulteriormente sull’importanza dello spazio urbano come spazio politico. In un momento in cui l’attivismo sta riscoprendo – e consumando – il suo spazio di manovra tra le maglie di algoritmi sempre più stretti nei social media e i media tradizionali continuano ad essere la roccaforte di un tipo di comunicazione il cui confronto politico rimane solo apparente, le città e le sue strade sono il luogo d’incontro e scambio della cittadinanza in cui è possibile ancora raggiungere gruppi di persone eterogenei. Lo spazio urbano è infatti da sempre lo strumento attraverso cui veicolare determinati messaggi politici attraverso le scritte, i manifesti o anche i banchetti. Ma ad oggi chi è che si trova in una posizione egemonica all’interno di questo spazio?
I casi ricordati dimostrano infatti come vi sia uno squilibrio di visibilità evidente anche nelle strade, in cui campeggiano immagini troppo spesso razziste e stereotipizzanti. L’esempio della campagna della Lega sul DL sicurezza è emblematico, ma di certo non nuovo. Banchetti informativi di associazioni e partiti frequentatori assidui della rive droite del pensiero, intenti a veicolare idee spesso razziste, sessiste e nazionaliste, hanno attraversato sin troppo spesso i quartieri delle nostre città.
Le strade si popolano troppo poco di manifesti o banchetti, che promuovano un altro tipo di società, che non stigmatizzino le persone migranti, che veicolino messaggi di uguaglianza e garanzia dei diritti. Ricompaiono spesso in occasione di scadenze elettorali – come anche la stagione referendaria ha dimostrato tra eventi, banchetti, volantinaggi e attacchinaggi svoltisi in ogni parte d’Italia – o con azioni di risposta a manifesti razzisti, come sta avvenendo a Roma rispetto la campagna della Lega.
Tuttavia se come anche emerso dalle elaborazioni interne al movimento antirazzista, la necessità di cambiare narrazioni e immaginario si è fatta impellente, quella stessa contro-narrazione pare sia evaporata dalle strade, non reclamando più il proprio diritto di parola nello spazio pubblico e non dandosi più la possibilità di entrare in dialogo con tutta quella fetta di popolazione che adesso è esposta solamente ad immagini antiabortiste, antiziganiste, espressamente razziste, che giustificano la criminalizzazione del dissenso e che spesso sono a tutti gli effetti fasciste.
C’è un detto: “Muri Puliti, Popoli Muti”. Certo, questo si riferisce specificatamente alla rivendicazione dell’atto vandalico di scrivere sui muri come spazio di espressione delle persone, ma mentre strade e cartellonistica continuano a parlarci attraverso una grammatica razzista, forte dei mezzi economici e della presenza nelle istituzioni, la domanda ora non è più su chi scrive sui muri, ma su chi ha smesso di sporcarli.
In una piccola parte l’ultima campagna referendaria ha mostrato come sia ancora importante l’attivismo in strada, per uscire realmente dalle nostre bolle. Non tutto è perduto. Sta a noi prendere la parola per primi, le strade possono ancora parlare. E fuori dagli schermi c’è ancora chi può ascoltare.