Sono in sciopero i lavoratori del Cie di Contrada Milo, a Trapani.
Il motivo della protesta è il ritardo dello stipendio di novembre e della tredicesima.
Già il mese scorso, i lavoratori avevano manifestato per il mancato pagamento degli stipendi arretrati. Una storia già vista che quindi si ripete, per i circa cinquanta operatori, infermieri e mediatori culturali della cooperativa “L’Oasi”, che ha in gestione il Centro di Identificazione ed Espulsione. Durante un incontro in Prefettura, avvenuto il 28 dicembre scorso, la cooperativa aveva assicurato ai lavoratori almeno un acconto di 500 euro. “Ma si è trattata dell’ennesima promessa disattesa”, afferma Mario D’Angelo, segretario della Uiltucs – Unione Italiana Lavoratori Turismo e Commercio.
La Prefettura aveva avuto un ruolo di mediatore anche nella concessione del fido bancario di circa 450 mila euro, tramite il quale la cooperativa avrebbe dovuto saldare agli operatori del Cie gli stipendi arretrati.
Ma questo non si è verificato, a causa, secondo la cooperativa, di “tecnicismi bancari”.
Ma perché si è verificata questa situazione? Un problema di fondo, infatti, c’è, e sarebbe l’eccessivo ribasso con cui la cooperativa ha vinto la gara d’appalto per la gestione del Cie. Un ribasso con cui, secondo i lavoratori, si riuscirebbero a coprire a malapena i costi di gestione. Facile intuire cosa questo significhi: mancati pagamenti per i lavoratori, e cattiva qualità dei servizi per i migranti trattenuti.
I lavoratori di Trapani non sono gli unici a protestare. Anche il Cie di Modena presenta una situazione analoga. E anche in questo caso la cooperativa è “L’Oasi”.
Già a novembre, i dipendenti del Centro di Modena avevano incrociato le braccia per i mancati pagamenti, denunciando: “L’Oasi ha dichiarato delle cose non vere, dimostrando di non avere le capacità per gestire il Cie di Modena. Dovrebbe risultare chiaro che il problema non è più solo il mancato rispetto di impegni presi, ma è la tenuta stessa del servizio ad essere messa a rischio».
E se tale situazione si riflette sui lavoratori, affiancati dai sindacati e ascoltati dai giornalisti, si possono facilmente immaginare quali siano le conseguenze per i migranti, di per sé già trattenuti senza aver commesso alcun crimine, fino a un massimo di 18 mesi, in strutture isolate, spersonalizzanti e prive di servizi.
Già lo scorso novembre, i lavoratori del Cie di Milo denunciavano: “Manca la carta per asciugarsi le mani, scarseggiano vestiario e beni per i migranti. Si è passati dalle bottiglie di shampoo alle bustine monodose. Gli ordini dei farmaci sono ridotti. La qualità dei pasti è pessima e manca persino il condimento per l’insalata”.
Una situazione di degrado e maltrattamenti più volte segnalata dalle delegazioni di parlamentari e giornalisti che hanno fatto visita al Cie di Milo, e denunciata dall’associazione Medici per i Diritti Umani (MEDU), che lo scorso novembre aveva portato alla luce il caso di un giovane tunisino, trattenuto nel Centro completamente privo di assistenza sanitaria, nonostante la doppia frattura scomposta dei calcagno che gli impediva la mobilità. (Ne abbiamo parlato qui)
Le politiche di spending review adottate dall’attuale governo tra i molti effetti hanno avuto anche quello di imporre agli enti gestori dei CIE un costo massimo pro capite di 30 euro: questo è l’importo indicato negli ultimi bandi di gara. Il risultato inevitabile è l’abbassamento del costo del lavoro e l’aggravamento delle condizioni di detenzione.
Una situazione che, ancora una volta, dovrebbe indurre il Governo attuale o quello prossimo a chiudere i Cie, luoghi inadeguati, inefficienti e disumani in cui si protraggono discriminazioni e umiliazioni, come rimarcato dall’appello Mai Più Cie lanciato dalla campagna LasciateCIEntrare.