Ancora rivolte dentro ai Cie. La notte del 31 dicembre, mentre la maggior parte degli italiani festeggiava la fine del 2012, circa trenta persone trattenute nel Centro di Identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo hanno dato vita a una manifestazione di protesta, cercando di scavalcare la recinzione che separa il Cie dall’adiacente centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), lanciando oggetti e scaricando il contenuto di alcuni estintori contro le forze dell’ordine intervenute, poliziotti, militari e finanzieri deputati alla sorveglianza esterna.
Sette persone sono riuscite a scavalcare la recinzione, dandosi così alla fuga per la campagna circostante.
Non è la prima volta che si verifica una situazione del genere.
Solo a titolo esemplificativo, ricordiamo quanto successo il 12 dicembre scorso, quando alcune persone trattenute nella struttura ingerivano farmaci, pezzi di vetro e batterie dei telecomandi, come estrema protesta e nel tentativo di uscire dal centro. Sempre a Gradisca, il 13 settembre i migranti trattenuti nel centro bruciavano materassi e coperte, cercando di attirare l’attenzione sulla loro condizione, dopo aver scritto una lettera – rimasta priva di risposta – al direttore del Centro, Luigi Del Ciello, e dopo uno sciopero della fame, avviato senza esito.
Tutte le proteste verificatesi all’interno del centro hanno sempre avuto una solo risposta: la repressione delle forze dell’ordine. Il governo non si è mai soffermato sui motivi delle proteste, sul fatto che nel 2013 persone innocenti, la cui unica “colpa” è quella di non avere documenti, si trovano, in uno stato democratico come quello italiano, a guardare il mondo attraverso una recinzione.
Nello specifico, le condizioni del Cie di Gradisca era già state definite “assolutamente intollerabili” dal consigliere regionale del Pd Franco Codega, in visita al centro lo scorso novembre.
Condizioni che accomunano tutti i Cie: uomini e donne rinchiusi all’interno di strutture recintate, costantemente sotto sorveglianza, privati della libertà e del supporto legale e sanitario.
Una situazione denunciata più volte dalla campagna LasciateCIEntrare, che lo scorso novembre ha lanciato l’appello “Mai più Cie”, per la chiusura di tutti i Cie presenti sul territorio nazionale, a favore di misure alternative alla detenzione amministrativa e della corretta applicazione della normativa europea sull’accoglienza.