La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza con cui la Corte d’appello di Trento aveva assolto un imputato sotto processo per aver diffuso “idee fondate sull’odio e sulla discriminazione razziale nei confronti delle comunità Rom e Sinti”.
Il soggetto in questione all’epoca dei fatti era un consigliere comunale di Trento, della lista Fiamma Tricolore, e l’accusa si riferiva ad un intervento tenuto durante una seduta consiliare. L’imputato, riferendosi alla mancata frequenza della scuola da parte dei bambini rom, aveva parlato di “sedicente cultura” e “discutibili tradizioni”, dichiarando che “l’unica possibilità di salvezza per i bambini di detta etnia era quella di sottrarli alle famiglie d’origine”, come si legge nella sentenza n.47894/2012 emessa da parte della prima sezione penale della Corte.
I giudici di Trento avevano assolto l’imputato, ritenendo che non si potesse parlare di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio “razziale”, ma piuttosto di diffamazione.
Secondo la Cassazione, invece, nell’intervento dell’allora consigliere comunale sono identificabili note razziste, come sostenuto nel ricorso del pm di Trento, accolto dalla Suprema Corte. Secondo la Corte “l’elemento che caratterizza la fattispecie è la propaganda discriminatoria, intesa come diffusione di una idea di avversione tutt’altro che superficiale, non già indirizzata verso un gruppo”: l’imputato si era espresso infatti con parole come “delinquenti, assassini, ladri, pigri, canaglie, aguzzini”, riferendosi a tutte le persone rom. Una generalizzazione evidenziata dalla Cassazione, che ha sottolineato come tali dichiarazioni fossero rivolte “verso l’etnia evocata espressamente, avversione apertamente argomentata sulla ritenuta diversità e inferiorità”. La Cassazione, nelle sue motivazioni, ricorda anche la sentenza con cui la stessa Corte, nel 2009, confermò la condanna, tra gli altri, del sindaco di Verona, Flavio Tosi, per i manifesti diffusi nella città, con scritto ‘via gli zingari da casa nostra’. Inoltre, la Cassazione ribadisce che “la funzione di consigliere comunale non legittima sicuramente di esprimersi con frasi di generalizzazione” espressive di “inferiorità legate alla cultura e tradizioni di un popolo”, anzi: “chi ricopre una pubblica funzione ha il dovere di essere particolarmente prudente nell’attività oratoria”.
La Corte d’appello dovrà dunque riesaminare la vicenda tenendo conto del parere espresso dalla Cassazione.