Ieri, 20 dicembre, in mattinata, circa 500 richiedenti asilo, in maggioranza di origine eritrea, sono usciti dal CARA di Mineo, dirigendosi verso la strada statale 471, bloccandola per ore all’altezza della rotonda Gela-Catania, e successivamente fra gli svincoli per Palagonia e Ramacca.
I richiedenti asilo protestavano contro le modalità di rilascio dei permessi di soggiorno: sembra infatti che ci sia disparità di trattamento della domanda di asilo in casi simili, oltre al fatto che l’eventuale riconoscimento dell’asilo avviene in tempi estremamente lunghi, costringendo le persone a un’attesa che può arrivare anche a 10 mesi.
I manifestanti hanno inoltre provato a richiamare l’attenzione sulle condizioni di “accoglienza”: attualmente, il centro di Mineo ospita 3000 persone, molte di più rispetto alla presenza massima prevista (1800 persone).
Non è la prima volta che le persone presenti nel Cara protestano: quella di ieri è la nona manifestazione da quando il centro è operativo, stando alle dichiarazioni del comitato cittadino di Mineo “Calatino Solidale per Davvero”.
E le cause delle proteste sono sempre le stesse: una situazione che si protrae ormai da tempo, e che viene definita “prevedibile” da Leone Venticinque, portavoce del comitato cittadino, visto il sovraffollamento del centro, in cui sono presenti “persone di nazionalità diverse (alcune anche in conflitto) e di religioni a volte contrastanti”.
Per quanto riguarda le condizioni di “accoglienza”, Venticinque è chiaro: “Fino a oggi abbiamo parlato di ‘ospiti’, ma se abbiamo cura di prestare ascolto al loro punto di vista la parola più appropriata è ‘semi-reclusi’. I richiedenti asilo ricevono vitto e alloggio ma ciò non toglie il fatto che aspettano mesi o anni la libertà di lasciare il Cara e la loro condizione rimane indefinita finché la richiesta di asilo non riceve risposta, oppure per molti viene respinta”.
“Il Cara di Mineo, luogo di profonde sofferenze – 8 manifestazioni di protesta all’esterno e numerosi casi di tentato suicidio-, ha rubato oltre un anno di vita a migliaia di migranti che avrebbero potuto usufruire subito, in caso di diniego della richiesta d’asilo, di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria, soprattutto quelli che provenivano dalla guerra in Libia”, afferma Venticinque, che denuncia il fatto che le persone all’interno del CARA “subiscono l’indifferenza istituzionale e l’interessamento degli opportunisti che in ciascun richiedente asilo vedono una fonte di denaro da tenere e trattenere in loco il più a lungo possibile. I migranti sono oggetto del business alle loro spalle, parcheggiati a tempo indeterminato, in un luogo in cui il primo centro abitato è ad oltre 10 Km”.
Il Centro sorge nel residence degli aranci, per il cui affitto lo Stato paga 6 milioni di euro l’anno al proprietario dell’immobile, la Pizzarotti spa di Parma. “Con la metà del denaro pubblico dilapidato – spiega Venticinque – si sarebbero potute accogliere, moltiplicando i progetti SPRAR, altrettante persone in piccoli e medi paesi, favorendo il loro progressivo inserimento sociale e lavorativo, con positive ricadute nelle disastrate economie locali”.
Un’alternativa che si accosta alla richiesta avanzata dal Comitato di chiudere quello che definisce “il CARA della vergogna”.
La situazione del CARA di Mineo si protrae nell’indifferenza dell’attuale governo, considerato dal comitato “in sostanziale continuità con il precedente”, e viene gestita esclusivamente come un problema di ordine pubblico: solo tre giorni prima, il 17 dicembre, il CARA era stato teatro di scontri tra richiedenti asilo e militari della guardia di finanza, culminati con il ferimento di dieci agenti. La protesta era stata definita dal segretario del Siulp Felice Romano “l’ennesima testimonianza che lo Stato non agisce in maniera univoca e unitaria sul fenomeno, perché scarica il problema, che nulla ha a che fare con l’ordine e la sicurezza pubblica, esclusivamente sugli addetti del comparto sicurezza”: secondo il portavoce del sindacato di polizia, “è necessario che il Governo, e se del caso lo stesso Parlamento, intervenga per fare chiarezza sulle normative che prevedono l’accoglienza e la gestione dell’immigrazione nel nostro Paese”.
Una situazione che viene anche tenuta lontana dai mezzi di comunicazione: Venticinque afferma che, una volta arrivato sul luogo della protesta di ieri, “è stato necessario superare in qualche modo i posti di blocco delle forze dell’ordine già operativi, che impedivano a tutti – esplicitamente anche alla stampa – l’accesso all’area per asseriti pericoli e minacce all’incolumità pubblica”.