La procura ha aperto un fascicolo conoscitivo sull’episodio avvenuto all’Arteria, la discoteca bolognese che venerdì scorso ha vietato l’ingresso alle persone nere. Un episodio portato alla luce dal quotidiano La Repubblica: proprio alla giornalista del quotidiano, che venerdì si è recata davanti alla discoteca accompagnata da un ragazzo originario del Mali, i buttafuori hanno spiegato che la decisione di far entrare solo i “bianchi” è arrivata dopo una rissa: “Abbiamo trovato un nero con un coltello nel giubbotto. Quindi per ora facciamo così: i neri non li facciamo passare”. Il titolare della discoteca, se da una parte racconta di “problemi che si sono verificati con alcuni profughi ospitati nei centri di accoglienza”, dall’altra sembra negare una netta separazione bianchi/neri: “Nessuna discriminazione etnica, abbiamo avuto dei disagi e al massimo sono state allontanate singole persone”.
Una testimonianza raccolta da La Repubblica parla però di un altro episodio, analogo a quello avvenuto venerdì scorso: circa un mese fa, un ragazzo italiano, figlio di un italiano e di una brasiliana, si è visto negare l’accesso. E un altro ragazzo, tedesco, è stato lasciato fuori. La spiegazione dei buttafuori sarebbe stata sempre la stessa: “Mi ha detto che siccome la sera prima, giovedì 12 febbraio, c’era stata una rissa tra marocchini e africani nel locale il titolare aveva deciso di non fare più entrare gente di colore perché spacciano e fanno casino – racconta il ragazzo – Da quanto ho capito quella era la prima sera che filtravano gli ingressi”. La situazione ha portato il gruppo musicale del ragazzo, che avrebbe dovuto suonare pochi giorni dopo proprio all’Arteria, a annullare il concerto: “Mercoledì avremmo dovuto suonare in Arterìa, a Bologna. Siccome venerdì 13 io e X volevamo andarci ma adesso hanno una politica di selezione razziale, io in quel buco non ci suono”, ha scritto un membro del gruppo su Facebook, lanciando l’hashtag #FascistiSuMarteria.
La posizione assunta dalla discoteca appare strana ai frequentatori del locale, che parlano di un luogo da sempre caratterizzato dalla presenza di persone provenienti da ogni parte del mondo. Alcuni commentano l’articolo di Repubblica parlando di una pericolosa semplificazione, e legittimano la decisione del locale bolognese come diretta conseguenza di situazioni problematiche. E’ quanto si legge, ad esempio, in un articolo condiviso proprio dall’Arteria su Facebook.
Non sappiamo se effettivamente si sono verificati problemi, tensioni, furti all’interno del locale, come sottolineato nell’articolo. In caso affermativo, possono aver indotto il titolare a scegliere, magari dopo diversi tentativi, la soluzione più drastica e veloce. Una “soluzione” che però alza barriere, rende alcune persone diverse da altre, alimenta ostilità e pregiudizi. E crea anche un pericoloso precedente di separazione. Insomma: perché rispondere a un eventuale problema creandone un altro? “I proprietari possono dire quello che vogliono, ma questo è razzismo puro. Se un ragazzo nero ha fatto qualcosa, si colpisce il singolo, non tutti. Anche gli italiani commettono reati. Se si applicasse lo stesso principio e si tenessero fuori tutti, il locale chiuderebbe domani”, commenta Amelia Frascaroli, assessora al welfare di Bologna. Le fa eco la vicepresidente della Regione con delega al welfare Elisabetta Gualmini: “Si tratta di un episodio da non sottovalutare né irridere. È stata presa una decisione unilaterale di stampo razzista, questo è indubbio. Assumere un fatto, ancorché grave, che riguarda una persona e generalizzarlo estendendolo a pregiudizio nei confronti di un’intera categoria è inaccettabile”.
Intanto in Comune è stato approvato un ordine del giorno, con i voti di Pd, Sel e M5S, che invita il sindaco e la giunta “una volta accertate le responsabilità oggettive a mettere in atto ogni misura affinché tali eventuali atti non abbiano più a ripetersi, fino a prevedere la chiusura dei locali responsabili di atti razzisti o discriminatori”.