Nei giorni precedenti la visita del Papa a Lampedusa si erano verificati fatti importanti che sono stati trascurati nell’enfasi buonista che ha pervaso buona parte dei media italiani. Il 4 luglio si era svolto a Palazzo Chigi l’ennesimo vertice Italia-Libia, con particolare riferimento ai profili della sicurezza, del contrasto alla immigrazione “clandestina” e al traffico di esseri umani, nel corso del quale è stata sottolineata “l’importanza del livello di collaborazione già in atto tra i due Paesi e la comune volontà di proseguire e rafforzare ulteriormente i rapporti bilaterali”. Il ministro libico Abdelaziz avrebbe confermato la determinazione dell’autorità di Tripoli a un maggiore impegno nel controllo delle proprie coste “al fine di evitare il ripetersi delle tragedie del mare”. In realtà, per impedire le partenze di imbarcazioni che potessero raggiungere le coste italiane. E sono tutte imbarcazioni cariche di potenziali richiedenti asilo. Nelle parole del ministro dell’interno Alfano, che ha annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro permanente di alto livello, il senso di questa rinnovata collaborazione: «Lavoreremo attivamente, con un forte spirito di collaborazione tra i nostri Paesi, per fare fronte al fenomeno dell’immigrazione clandestina, nel pieno rispetto dei diritti umani”.
Un rispetto per i diritti umani che sarebbe stato opportuno applicare anche in altre occasioni, come nel caso dell’espulsione della moglie e della figlia di un dissidente proveniente dal Kazakistan, eseguita dalla polizia italiana in violazione dell’art. 19 del T.U. 286 del 1998, che vieta il rimpatrio quando si rischia di subire trattamenti inumani o degradanti, o nel caso dei rimpatri forzati operati con modalità che non garantiscono i diritti di difesa. Da un comunicato del Ministero dell’interno si è infatti appreso che nell’ultima settimana “sono stati rimpatriati, con diversi voli aerei, 103 immigrati extracomunitari, soprattutto di nazionalità egiziana, tunisina e marocchina, rintracciati sul territorio nazionale”. Si tratta di voli di rimpatrio che privano i migranti di ogni possibilità di fare valere una richiesta di asilo o un qualsiasi diritto fondamentale che andrebbero comunque riconosciuti a tutti gli immigrati, anche se privi di un permesso di soggiorno ( art. 2 del T.U. n. 286 del 1998).
La difficile fase di transizione che attanaglia in modo diverso i paesi dell’Africa settentrionale dopo le rivolte popolari del 2011(la cd. primavera araba) continua intanto a modificare i rapporti esistenti tra gli stati della riva nord e quelli della riva sud del Mediterraneo, anche sul fronte dell’immigrazione e dell’asilo. Rimangono però gli stessi accordi bilaterali firmati ai tempi di Moubarak e Gheddafi, con pratiche di “cooperazione di polizia” orientate esclusivamente al contrasto dell’immigrazione irregolare, che concorrono a costruire muri invisibili attorno ai migranti che dall’Africa tentano di raggiungere Europa. Si sono solo sospesi i respingimenti collettivi in acque internazionali che sono costati all’Italia una condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (caso Hirsi). Non deve dunque stupire se aumenta ancora il numero delle vittime in mare e nei paesi di transito ed aumenta anche il numero dei migranti senza documenti, e a forme sempre più gravi di sfruttamento, o destinati ad alimentare circuiti criminali. Sempre alto il numero dei minori non accompagnati che in assenza di una tempestiva nomina di un tutore e di una adeguata accoglienza scompaiono nel nulla, come sta avvenendo ancora in questi giorni in provincia di Siracusa.
Le pratiche di sbarramento, camuffate dagli accordi bilaterali come esternalizzazione dei controlli di frontiera, con un consistente finanziamento proveniente dai paesi europei, spostano ad oriente o ricacciano a sud i migranti e rendono assai critica la situazione anche nelle frontiere aeroportuali, dove si sono create di fatto delle zone di trattenimento degli immigrati irregolari sottratte a qualsiasi giurisdizione.
Dopo lo sbarco a Lampedusa o in altre località italiane, in Sicilia, come in Calabria ed in Puglia, centinaia di migranti rimangono per giorni privi di informazioni e di accesso alle procedure alle quali dovrebbero essere sottoposti in base alla vigente normativa italiana e comunitaria. La pratica dei centri di detenzione “informali” sta costituendo occasione per la violazione dei più elementari diritti della persona umana. All’interno dei CIE il prolungamento della detenzione amministrativa sta rendendo ingestibili strutture dai costi esorbitanti e nelle quali vengono praticati trattamenti inumani e degradanti, malgrado il divieto di tali trattamenti sancito dall’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Non si rivolge alcuna attenzione verso il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti, negli ultimi mesi provenienti soprattutto dalla Libia (Subsahariani), dalla Tunisia ed in misura più ridotta dall’Egitto, dalla Siria e dalla Grecia (Afghani e Kurdi). Le pratiche di detenzione informale e di respingimento sommario costituiscono occasione frequente di violazione dell’”Habeas corpus”, dei diritti di difesa, del diritto alla salute, e del diritto ad una procedura legittima di allontanamento sottoposta nei tempi prescritti dalla legge al controllo del giudice (riserva di giurisdizione).
I centri di identificazione o i nuovi centri di identificazione ed espulsione temporanei (CIET), da ultimo i centri informali di transito, non possono diventare luoghi di respingimento indiscriminato o di detenzione a tempo indeterminato, magari solo sulla base alla nazionalità e quindi degli accordi bilaterali che legano l’Italia ai diversi paesi di provenienza. Ciascuna persona deve avere diritto ad una procedura individuale anche se giunge in Italia priva di documenti. Una volta giunti in Italia, a coloro che non fanno richiesta di protezione internazionale, dovrebbe applicarsi la disciplina più garantista dettata dalla Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, che l’Italia non ha ancora attuato pienamente. Quando appare evidente che il rimpatrio forzato non è più possibile devono cessare le misure di trattenimento amministrativo, ed i rimpatri volontari vanno incentivati con l’abbassamento della durata dei divieti di reingresso. Il trattenimento nei centri di detenzione amministrativa deve essere ricondotto al rispetto dell’art. 13 della Costituzione, sia per la durata ed i termini della convalida, che per la sanzione delle violenze fisiche e psichiche ai danni delle persone comunque private della libertà personale.
Le parole del Papa da Lampedusa hanno sollecitato un’assunzione di responsabilità per le troppe vittime delle tragedie dell’immigrazione, vittime -occorre ricordare- delle politiche di contrasto e di confinamento attuate da tutti i governi europei con l’aiuto di alcuni paesi di transito. Perché l’effetto di questo appello non duri solo lo spazio di un mattino occorrerebbero una revisione organica della normativa interna in materia di immigrazione, a partire dall’abrogazione della Bossi-Fini e dei pacchetti sicurezza voluti da Maroni nel 2009 e nel 2011, già sanzionati in parte dalla Corte Costituzionale, ed una rivisitazione degli accordi bilaterali in modo da aprire corridoi umanitari attraverso i quali favorire in condizioni di sicurezza l’ingresso e il reinsediamento dei potenziali richiedenti asilo, un diritto universale affermato anche nella nostra Costituzione. E per quelli che arrivano occorrerebbe strutturare un vero sistema di accoglienza decentrata chiudendo strutture ingestibili come i Cara di Mineo (CT) e Bari.
Sarà capace la politica di rispondere all’appello del Papa, ad assumere finalmente decisioni che corrispondano al senso di responsabilità ed alla solidarietà con i più deboli? Alla luce dei fatti e degli equilibri politici se ne può dubitare. Toccherà ancora una volta alle associazioni antirazziste, alle reti di avvocati, alle comunità locali, promuovere dal basso iniziative che costringano le autorità politiche e gli apparati amministrativi al rispetto dei diritti fondamentali della persona migrante. Questo compito richiederà però una determinazione ed una compattezza che in passato sono mancate troppe volte.
* Università di Palermo