
L’appuntamento dell’8 e 9 Giugno, di cui con estrema fatica finalmente si sta parlando, sta sollevando moltissime questioni che interrogano lo status della nostra democrazia.
Da un lato c’è il contenuto stesso dei cinque referendum, che forse passa in sordina e che vale la pena ricordare: vertono su lavoro e cittadinanza. Dall’altro il contenuto e i toni del dibattito politico attorno ai referendum e al senso stesso del voto referendario. Tra il silenzio su un tema e il gran frastuono sull’altro, questa stagione referendaria sta interferendo – fortunatamente – con un tipo di discorso egemone sul senso delle elezioni, facendo emergere le contraddizioni fra il discorso politico e il ruolo dei cittadini e delle cittadine, prima ancora del ruolo dell’elettorato. Ma andiamo con ordine.
L’importanza dei quesiti referendari sul lavoro
I 5 referendum, come già detto, vertono su lavoro e cittadinanza. Abbiamo già avuto modo di ragionare sul contenuto dei cinque quesiti, in quanto come Lunaria aderiamo al Comitato per i 5 Sì. Qui ci interessa ribadire come questi cinque quesiti, affrontando il tema del lavoro e quello dell’acquisizione della cittadinanza, diano l’opportunità a noi cittadini e cittadine di esprimerci su questioni che toccano profondamente la nostra vita.
Il tema del lavoro, si concretizza primariamente nella sua crescente precarizzazione data non solo dai salari bassi, ma da contratti instabili, assenza di una reale sicurezza sul lavoro, licenziamenti senza possibilità di reintegro. Per quanto ci si discosti da altre questioni concernenti la crisi lavorativa che viviamo oramai da moltissimi anni – prima fra tutte la stagnazione salariale- non si può non considerare l’impatto che la vittoria del sì ai quattro referendum previsti avrebbe sulla vita di moltissime persone.
A questo impatto si lega bene la questione della cittadinanza, forse quella che più sta avendo risalto, ma di cui spesso si parla in termini non sempre corretti.
Il referendum sulla cittadinanza riguarda tutti e tutte
Un’argomentazione in particolare meriterebbe attenzione: spesso si dice che questo referendum in particolare non riguarda le persone che effettivamente andranno a votare. A conti fatti, se passasse il sì, i primi beneficiari sarebbero indubbiamente le persone le quali soddisfano tutti i requisiti per ottenere la cittadinanza, ma che attualmente devono attendere cinque anni in più – dieci invece di cinque come richiede il referendum – di residenza continuativa. Tuttavia questo non vuol dire che le persone cittadine straniere siano le uniche a beneficiare di questo cambiamento. Ma qui il discorso si fa sottile.
La sedimentata e strumentale sovrapposizione tra il discorso sulla cittadinanza, le politiche migratorie e la necessità di difendere una presunta “identità nazionale”, ha distorto il significato del possesso della cittadinanza italiana. E’ importante, invece, ribadire che si tratta di uno status giuridico che regola diritti e doveri, non di un tratto identitario che traccia un discrimine fra come una persona si riconosce e come viene – e dovrebbe essere – riconosciuta. Ogni discorso che lega la cittadinanza alla cosiddetta “identità nazionale” svela un sostrato razzista, così come la sovrapposizione con le politiche migratorie.
Ogni qual volta si parla di cittadinanza ci si riferisce a persone che non sono più “in movimento”, che non possono più essere relegate alla categoria di “altro” o “straniero” in quanto estraneo. Sono persone che fanno parte a pieno titolo del tessuto sociale. Allargare la possibilità di partecipazione politica, riconoscendo una già piena partecipazione sociale a persone a cui finora è stata negata, significa rafforzare la democrazia. E questo è nell’interesse anche di chi oggi ha già il diritto di voto.
Certo, il riconoscimento della cittadinanza non sarebbe automatico dopo i 5 anni: rimarrebbero gli altri requisiti, primo fra tutti quello del reddito continuativo – collegato ai precedenti quattro quesiti che mirano a ridurre la precarietà per tutte le persone lavoratrici. Tuttavia, è importante sottolineare come questo riguardi anche chi ha la cittadinanza fin dalla nascita.
In un qualche modo i 5 referendum sono tutti sulla cittadinanza: parlano di lavoro – su cui da Costituzione si fonda la Repubblica italiana – e dello status giuridico che riconosce la partecipazione sociale e permette la partecipazione politica. Tutti i quesiti parlano di cittadinanza nella misura in cui aprono lo spazio di riflessione sui diritti stessi dei cittadini e delle cittadine.
L’importanza del voto consapevole
Riflettendo sui diritti – e doveri – di cittadinanza diventa essenziale aprire una riflessione sull’importanza del voto. Già nell’editoriale recentemente condiviso di Sbilanciamoci.info, il tema della partecipazione mediante il voto si fa forte, ma nel momento in cui il dibattito politico si concentra da un lato sull’invito all’astensione, dall’altro sulle spaccature interne al centrosinistra a causa dei temi affrontati dai referendum – senza tra l’altro mai argomentare davvero il contenuto dei referendum -, forse è importante tornare sul ruolo che hanno i referendum.
I referendum abrogativi sono lo strumento con cui le persone aventi diritto al voto possono partecipare in maniera diretta all’esercizio del potere legislativo, abrogando integralmente o parzialmente una legge. Tutto ciò senza intermediazione del Parlamento, a patto, ovviamente, che si raggiunga il quorum, corrispondente alla metà più uno degli aventi diritto al voto.
Sebbene non si possa ignorare quanto sia difficile, oggi, raggiungere il quorum – soprattutto in un periodo di crescente astensionismo – è da notare come l’attuale dibattito politico non stia davvero contribuendo a incentivare la partecipazione.
Innanzitutto il dibattito non è realmente focalizzato sui contenuti dei referendum. Piuttosto al centro della discussione c’è il posizionamento dei partiti in relazione ai temi che si traduce in un susseguirsi di dichiarazioni che non spiegano con chiarezza cosa prevedono i referendum e cosa comporterebbero il raggiungimento del quorum e la vittoria del sì. Per quanto, dopo mesi di silenzio mediatico, sia positivo che si sia aperta una breccia per parlarne, risulta comunque difficile spiegare in modo chiaro ed efficace a chi potenzialmente potrebbe andare a votare, su cosa è chiamato ad esprimersi.
E’ difficile sfuggire alla sovrapposizione fra il contenuto dei referendum e il posizionamento – strumentale -dei partiti, spesso condizionato dalla collocazione all’opposizione o al governo.
In secondo luogo bisogna ribadire che l’invito all’astensione da parte di cariche istituzionali di rilievo è grave. In un periodo di crescente astensionismo, che indebolisce il senso di una democrazia basata sulla partecipazione di tutti e tutte, è importante che le istituzioni ricordino che votare è tanto un diritto quanto un dovere. Così come lo è informare e informarsi, affinché il voto sia consapevole.
L’assenza di informazione esaustiva – totalmente demandata ai cittadini e alle cittadine – e l’invito all’astensione non sviliscono semplicemente l’importanza di questo preciso appuntamento elettorale, ma compromettono l’esercizio stesso della democrazia. In un contesto in cui una grande parte della società mostra insofferenza verso la politica istituzionale, ritrovarsi attorno a una consultazione che non prevede la scelta tra candidati, ma su questioni concrete, è un modo per riavvicinarsi alla politica come partecipazione.
In questo enorme punto di domanda sulla democrazia, i referendum – pur non rivoluzionando lo stato delle cose – aprono spiragli importanti di discussione oltre che spazi per cambiamenti concreti. E soprattutto interferiscono, non poco, con la narrazione dominante.
Ora però sta a noi continuare ad impegnarci ad allargare sempre di più la breccia, convincendo le persone a votare e a votare Sì. E’ un’occasione importante per ricominciare a scegliere insieme il modello di democrazia e di società in cui vogliamo vivere. E se ci ricordano che l’astensione è un diritto, ricordiamoci che se vogliamo una società più giusta e con meno discriminazioni, noi possiamo votare lo stesso.