
Certi vasi non traboccano per una goccia. Di certo il tentato suicidio e la successiva morte di Aboubakar Sidike, trentatreenne di origine guineana deceduto lunedì in ospedale non è una semplice goccia. Se martedì 5 novembre un centinaio di uomini e donne si sono mossi dall’area dell’aeronautica militare dove è situata la struttura fino a Piazza della Libertà è per ragioni ben più strutturali, che connettono il tentato suicidio di Sidike alle condizioni di vita all’interno del CARA.
Aboubakar Sidike, una morte che si poteva evitare
Sabato 2 novembre Aboubakar Sidike, ragazzo di origine guineana di 33 anni, una delle mille persone residenti nel CARA di Palese – Bari, accusa un malore. Gli viene somministrato del paracetamolo ed è subito dimesso dal pronto soccorso, ciononostante il malore continua a persistere e domenica viene, dunque, portato all’ospedale San Paolo. Tuttavia sarà troppo tardi, quel malore era causato dall’ingerimento di 11 pile nei giorni precedenti; il ragazzo morirà la mattina del lunedì a seguito di un arresto cardiaco. Alla notizia della morte, e soprattutto di fronte all’impossibilità da parte degli amici di dare un ultimo saluto a Sidike, nel CARA scoppiano dei disordini all’interno del centro, sedati nella notte di lunedì. Agli occhi di chi vive la quotidianità del CARA risulta evidente che ciò che è successo a Sidike è frutto di un problema ben più grande. Quel problema diventerà la ragione principale per cui il giorno successivo una manifestazione spontanea attraverserà il capoluogo pugliese.
La denuncia delle condizioni all’interno del CARA
Bari, 5 Novembre. “Qui ci sono persone che vengono trattate come animali; non c’è un racconto da fare.” Così dichiara ai microfoni di Telesveva un partecipante alla manifestazione.
I manifestanti hanno denunciato, innanzitutto, un sovraffollamento all’interno degli spazi giacché – come riportato da BariToday – nei container, la cui capienza alloggiativa è di quattro persone, spesso vi abitano in dieci, con le immaginabili difficoltà igieniche che ne derivano. Sempre secondo le testimonianze riportate ne Il Manifesto, anche il cibo è scadente: sono state ritrovate più volte delle blatte all’interno delle confezioni che racchiudono i pasti distribuiti all’interno della struttura.
A questo si aggiungono le regole ferree della struttura, i cui orari di uscita e di rientro sono spesso incompatibili con la vita lavorativa delle persone che vi risiedono. Molte di loro sono, infatti, impegnate nei campi, dove il lavoro inizia ben prima delle 7.00 di mattina, orario in cui è consentito uscire; questo costringe moltissimi di loro a dover scavalcare sei metri di recinzione con filo spinato, rischiando anche gravi infortuni – come è successo ad un uomo il quale si è rotto il braccio.
Quello di Sidike non era non un caso isolato
Le dure condizioni che i richiedenti asilo vivono nel CARA di Palese, unita alla scarsa attenzione dedicata alla salute delle persone residenti nel centro, può essere una delle ragioni del tentato suicidio di Aboubakar Sidike e del successivo decesso avvenuto il giorno dopo in ospedale. Tuttavia, sempre secondo quanto testimoniato durante la manifestazione, non è la prima morte all’interno della struttura, Sidike è già la quarta persona morta nel centro in soli sei mesi con dinamiche purtroppo assai simili. Uno dei richiedenti asilo, sempre nel corso dell’intervista all’emittente locale mostra del paracetamolo, l’unico medicinale che viene somministrato in caso di malore. Per queste ragioni tra le prime istanze che il corteo spontaneo ha voluto presentare nel momento in cui una delegazione è stata ricevuta dal prefetto di Bari Francesco Russo è proprio quella della garanzia del diritto alla salute. La delegazione ha inoltre richiesto oltre ad un generale miglioramento delle condizioni di vita all’interno del centro, un impegno maggiore nella concessione della residenza per più di quattrocento richiedenti asilo e nella valutazione delle richieste delle domande di protezione – i cui lunghi tempi di attesa non fanno che prolungare il limbo in cui vivono i richiedenti asilo – più trasparenza e diritto d’informazione affinché la società sappia cosa accade all’interno del centro. Richieste che rispecchiano la legittima volontà di partecipare alla vita sociale.
La necessità di un’accoglienza diversa
In piazza erano presenti non solo i richiedenti asilo, ma anche alcune realtà del terzo settore come Solidaria, lo Sportello di Autodifesa Sindacale e i volontari e le volontarie della scuola d’Italiano di Bari. Fra questi ultimi Don Giorgio, il quale ai microfoni di Radio Onda d’Urto ribadisce un tema fondamentale: i problemi riscontrati all’interno del Centro d’Accoglienza per Richiedenti Asilo del barese, sono in realtà frutto di politiche che da anni continuano a privilegiare un’accoglienza emergenziale, fatta di grandi centri che spesso risultano sovrappopolati e staccati dal contesto sociale, a scapito di un’accoglienza che sia diffusa. I risultati sono chiari soprattutto a chi vive quotidianamente all’interno di queste strutture, percependo una latente impossibilità di partecipare alla pari alla vita sociale con l’accesso al lavoro, la casa e la salute.
Mentre la portavoce dell’utenza del CARA Afana Docteur si dichiara favorevole alla prosecuzione del dialogo con la prefettura per il miglioramento delle condizioni di vita all’interno del Centro d’Accoglienza per Richiedenti Asilo, ci stringiamo al dolore dei residenti del CARA per la perdita di Aboubakar Sidike, e supportiamo le istanze di miglioramento delle condizioni di vita dei richiedenti asilo. Queste storie spesso non riescono ad emergere, obliate dalle stragi nel Mediterraneo o dagli orrori della detenzione amministrativa che scellerate politiche migratorie continuano a creare sistematicamente. Tuttavia, è importante aprire gli occhi anche sugli enormi ostacoli che le persone migranti attraversano quando entrano nel sistema d’accoglienza, in cui ancora sono presenti troppi confini. E’ importante che il 5 Novembre un centinaio di uomini e donne abbiano scelto di attraversarlo, chiedendo un cambiamento strutturale con la forza delle proprie storie.