di Cinzia Gubbini
Il Segretario generale pronunciava gli “otto punti” per una gestione efficace delle migrazioni mentre, nelle stesse ore, si consumava la tragedia di Lampedusa.
Mentre il 3 ottobre a Lampedusa, Sicilia, centinaia di persone, uomini, donne e bambini annegavano nelle acque dello Stretto di Sicilia, il 4 ottobre nel palazzo dell’Onu a New York, a chilometri di distanza da quella tragedia, si aprivano i lavori di un “dialogo di alto livello” sulle migrazioni.
Coincidenza che colpisce: a sud si consuma una delle stragi del mare più gravi nella storia delle migrazioni, a nord – il “nord” per eccellenza – si discute della necessità di adottare un piano internazionale che individui alcune linee guida per rispondere all’emergenza di chi “attraverso il suo coraggio, la sua vitalità e i suoi sogni contribuisce a rendere le nostre società più prospere, flessibili e diversificate”, ha detto in apertura dei lavori il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon.
Il discorso del Segretario ovviamente non prevedeva un riferimento a Lampedusa, nonostante l’isola delle Pelagie sia – non da oggi – una delle principali porte di ingresso dei migranti per il vecchio continente, ma l’impatto di quella tragedia ha trovato un piccolo spazio nel discorso. Ma l’eco dell’affondamento del barcone diretto in Italia ha sfondato la scaletta del Segretario generale: “Quello che è accaduto a Lampedusa deve spingere all’azione”, ha detto. Secondo alcuni un accenno troppo risicato, considerato l’accaduto. Ma è pur vero che nei giorni seguenti quell’eco appena accennato è diventato un urlo anche a New York, e le Nazioni unite hanno diffuso diversi comunicati. Già il giorno seguente Guy Rider – direttore dell’Agenzia del Lavoro delle Nazioni unite si è soffermato con più attenzione sulla tragedia di Lampedusa: “Dimostra che è necessario agire immediatamente. I canali per l’ingresso regolare sono troppo scarsi, ed è su questo fronte che bisogna agire”.
La questione – centrale – dei canali di accesso regolare sembra essere un elemento chiarissimo per l’Onu. Anche il discorso di Ban Ki Moon del 4 ottobre, infatti, affrontava il problema con estrema chiarezza: i canali della migrazione legale sono pochi e “stretti”, gli Stati dovrebbero impegnarsi per moltiplicarli e renderli più accessibili. Ban ki Moon ha elencato alcune caratteristiche delle nuove migrazioni: le persone si spostano verso molti più paesi rispetto a prima – in un certo senso le migrazioni hanno allargato i loro orizzonti – la metà della popolazione migrante è donna e 1 su 10 ha meno di 15 anni.
Il report preparato per l’Assemblea dal Segertario generale è molto interessante e articolato. Il succo sta in una agenda di otto punti che teoricamente dovrebbe essere seguita da tutti gli Stati, in particolare da quelli che si confrontano maggiormente con i flussi migratori.
Il primo punto, secondo Ban ki Moon, è che andrebbero rispettati i diritti dei migranti. Banale, ma non scontato: troppo spesso, scrive il Segretario generale, i migranti vivono nella paura, marginalizzati come “l’altro” o i loro documenti vengono trattenuti ingiustamente da funzionari senza scrupoli. Nel report Ban ki Moon parla esplicitamente della necessità di trovare “alternative alla detenzione amministrativa” ricordando che “detenere i bambini” è un reato.
Secondo punto: bisogna abbassare i costi delle migrazioni. Cosa significa? Ban ki Moon si riferisce ai costi legati, per esempio, alle rimesse dei migranti, che lavorano nei paesi più ricchi e inviano i soldi alle famiglie di origine. Una montagna di denaro che alla fine di quest’anno raggiungerà i 550 bilioni di dollari. Ma che troppo spesso, ha detto il segretario generale, sono sottoposte a tasse di transazione troppo alte e inutili. L’altro costo è ovviamente quello che quasi tutti i migranti sono costretti a pagare ai “passeur” in grado di creare canali di immigrazione, che troppo spesso sono oltretutto poco sicuri. Immaginiamo, dice Ban ki-Moon, cosa potrebbe accadere se tutte queste risorse fossero impiegate per lo sviluppo: mandare il figlio a scuola, pagare le visite mediche, avviare un lavoro.
Terzo punto: bisogna affrontare (ma non dice come) il traffico di esseri umani, che è particolarmente grave nei confronti di donne e minori e che porta con sé sempre una cosa di abusi e povertà.
Quarto punto: bisogna affrontare la piaga dei profughi, gente che scappa dal proprio paese a causa di crisi umanitarie. Il report suggerisce di estendere le reti consolari, ma anche di applicare procedure che supportino evacuazioni assistite. Tutte cose che potrebbero, per esempio, essere applicate ora, in Siria. Eppure sulle carette del mare dirette in Sicilia si imbarcano persino i profughi siriani, e a centinaia.
Il quinto punto, secondo Ban Ki Moon, consiste nel mettere in piedi iniziative e politiche che siano in grado di rendere positiva l’immagine del migrante, non solo attraverso una informazione più corretta ma anche con la diffusione di messaggi positivi.
Il sesto punto riguarda la capacità – per ora praticamente nulla – degli Stati di inserire i migranti dentro alle agende per lo sviluppo: gli Stati dovrebbero inserire le migrazioni dentro tutti i piani per lo sviluppo e la riduzione della povertà, prevedendo anche specifiche azioni.
Il settimo punto indica la necessità per gli stati e la comunità globale di migliorare il profilo della conoscenza delle migrazioni, a partire dalla puntuale e approfondita raccolta di dati, sia statistici che qualitativi.
L’ultimo, e ottavo punto, rilancia la necessità di cooperazione e partenership perché, dice Ban-ki-Moon, “nessuno può affrontare questo problema da solo”.
Eppure, in Europa, sembra ancora essere in piedi il subdolo meccanismo per cui i paesi del nord – più forti economicamente e più lontani dalle “frontiere calde” – scaricano sui paesi del sud – tra cui l’Italia – la questione del controllo delle frontiere. E i fondi europei, quando ci sono e vengono spesi, sono quasi tutti utilizzati sul fronte delle politiche del rifiuto invece che su quello dell’integrazione.
L’Onu dice il contrario. Ma il Palazzo di Vetro è molto lontano.