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Cronache di ordinario razzismo

Cronache di ordinario razzismo

Cronachediordinariorazzismo.org è un sito di informazione, approfondimento e comunicazione specificamente dedicato al fenomeno del razzismo curato da Lunaria in collaborazione con persone, associazioni e movimenti che si battono per le pari opportunità e la garanzia dei diritti di cittadinanza per tutti.

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Il Guardian limita la possibilità di commentare alcuni articoli per poter gestire meglio le discussioni

4 Febbraio 2016

downloadLa campagna #nohatespeech raccoglie i suoi frutti molto di più al di là delle Alpi. Sempre più le testate giornalistiche, in tutta Europa, cominciano a interrogarsi sul come gestire i commenti razzisti online dei lettori. Ecco che, ad esempio, il britannico Guardian annuncia la decisione di limitarli. Mentre, in contemporanea, vediamo nascere un progetto (Coral Project) per la realizzazione di strumenti open source (e quindi una piattaforma gratuita) per la promozione di community costruttive. Qui di seguito il prezioso commento di Carta di Roma alle due notizie.

I commenti relativi ad articoli su immigrazione e islam o che hanno per protagonisti determinati gruppi razziali o etnici attraggono un inaccettabile livello di commenti che contengono contenuti d’odio. Con questa motivazione il Guardian ha deciso pochi giorni fa di limitare la possibilità di commentare gli articoli su questi temi: «La schiacciante maggioranza di questi commenti tende al razzismo, all’abuso nei confronti dei soggetti vulnerabili o verso l’autore del post o al trolling. Le conversazioni che ne risultano portano pochissimo valore aggiunto al dibattito, ma sono causa preoccupazione sia tra i lettori che tra i giornalisti», scrive Mary Hamilton, executive editor for audience della testata britannica.

«Vogliamo essere padroni di casa responsabili», sottolinea Hamilton.  L’obiettivo non è quello di mettere a tacere tutti i commentatori per evitare la pubblicazione di contenuti scomodi, ma quello di consentirne una migliore moderazione: «È stato deciso che i commenti sui pezzi riguardanti quei tre argomenti saranno chiusi, a meno che i moderatori non siano sicuri di avere la capacità di sostenere la conversazione e a meno che non credano che sia possibile costruire un dibattito positivo», spiega la giornalista. In pratica la possibilità di commentare sarà limitata se e quando non vi sarà un numero sufficiente di moderatori per gestire la mole di post generati dai temi in questione. Una politica che non sarà applicata solo nel Regno Unito, ma anche nelle edizioni statunitensi e australiane della testata.

«Vogliamo ospitare conversazioni che contengano un dibattito costruttivo, che consentano al pubblico di aiutarci a sviluppare il nostro giornalismo attraverso le proprie competenze, conoscenze, pensieri e opinioni e che permettano di usare il nostro sito come una piattaforma per la creazione di connessioni con il mondo», puntalizza Mary Hamilton. I casi di hate speech, i troll e la propaganda, oltre a non portare alcun valore aggiunto alla conversazione e a causare malumore, «inquinano discussioni spesso stimolanti» e riflettono una tendenza dell’opinione pubblica e del linguaggio comune che il Guardian non vuole supportare.

Che il noto quotidiano sia arrivato a questa decisione, del resto, non sorprende più di tanto: mentre in Italia sono ancora poche le testate ad avere politiche interne ben delineate per la gestione dei commenti e il contrasto ai discorsi d’odio, il giornalismo internazionale ha iniziato da tempo ad attivarsi. È il caso di Reuters, della CNN e del Chicago Sun-Times che hanno deciso di non consentire più i commenti o di limitarli severamente, così come il New York Times controlla ogni post prima della pubblicazione. Un processo che, di pari passo con la crescita dei commenti, è iniziato nel 2012 e del quale Wired ripercorre i passi principali qui.

Coral Project. Giornalisti e programmatori lavorano insieme alla realizzazione di una piattaforma gratuita per il monitoraggio dei commenti. Nasce da una collaborazione tra Mozilla Foundation, New York Times e Washington Post e si chiama Coral Project. Il suo obiettivo è quello di creare uno strumento che possa aiutare le tante testate online che vogliono trovare una soluzione per poter gestire al meglio i commenti dei lettori, individuando prontamente i casi di hate speech. Una piattaforma gratuita, da realizzare attraverso il confronto, che possa contribuire alla formazione e promozione di community costruttive.

«Il termine “commenti” indica ormai uno spazio tossico, di molestie, rappresentato in modo schiacciante da giovani uomini bianchi; indica abusi, mancanza di rispetto, di compassione ed empatia», spiega proprio al Guardian Andrew Losowsky, alla guida del progetto. È tempo, secondo il giornalista, che gli editori pensino ai commenti come a contributi costruttivi. A trarne vantaggio il giornalismo nella sua interezza, secondo Losowsky, che deve adattarsi e rendere più partecipe la comunità, prevedendo strumenti mirati. Il primo “esperimento” del Coral Project sarà testato nelle prossime settimane: è in grado di individuare i contributori più costruttivi su un certo tema (la redazione può scegliere i parametri per la ricerca), affinché la testata possa coinvolgerli di più, stimolando così un dibattito positivo.

L’unica richiesta di Coral Project alle testate in questa fase è la collaborazione: esprimere le proprie opinioni, indicare le necessità e le problematiche, partecipare al dibattito. In pratica prender parte attivamente al processo creativo per far sì che il risultato finale consista in una serie di strumenti che possano. Redazioni italiane, che aspettate? Contattare la squadra di Coral Project è semplice, basta scrivere a Andrew Losowsky, oppure visitare il sito, www.coralproject.net.

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Filed Under: News Tagged With: #nohatespeech, commenti, community costruttive, coral project, guardian, mozilla, razzismo online

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